Per la sua posizione geografica l’Appennino Centrale costituisce una sorta di “crocicchio biologico” in cui sono confluiti e smistati vari contingenti floristici provenienti da diverse regioni biogeografiche. Ad esempio in Abruzzo sono state censite oltre 3200 entità vegetali che rappresentano circa il 50 % dell’intera flora italiana (6800 specie).

I pascoli dell’Appennino Centrale costituiscono un esempio raro di grande estensione di praterie di montagna con una diversità di specie botaniche e di associazioni vegetali legata all’antropizzazione esercitata da millenni e posta a base di un’economia pastorale con pochi altri esempi in Europa.

Il pascolo è una risorsa seminata o naturale, di lunga durata (da alcuni anni a secoli). Esso è costituito da un numero elevato di specie e l’insieme di esse determina la qualità e la quantità produttiva di un pascolo che solo una buona gestione del gregge può preservare, evitando che il pascolamento agisca come selezione negativa per le specie più appetite.

Le specie vegetali dei pascoli possono essere classificate in: pabulari, parzialmente pabulari (utilizza solo parte della pianta), non pabulari (l’animale rifiuta completamente la pianta perché sgradevole) e senza interesse pabulare (le piante hanno uno sviluppo vegetativo così modesto da non consentirne il prelievo.

I prati polifiti costituiscono il cotico erboso grazie alla sua eterogenea composizione delle specie vegetali svolge diverse funzioni, che sono direttamente proporzionali al numero delle specie presenti. Per gli animali, il cotico, svolge la funzione produttivo-alimentare e regolatrice della distribuzione degli animali nello spazio (le piante più profumate oppure più colorate attirano l’attenzione degli animali distribuendoli nello spazio).

Fattori condizionanti il cotico sono il suolo (tessitura equilibrata e reazione vicina alla neutralità ne favoriscono lo sviluppo), il clima (frequenza delle precipitazioni, copertura nevosa, luminosità, ombreggiamento degli alberi, vento).

Gli animali al pascolo svolgono una duplice funzione: da un lato sono gli utilizzatori e i trasformatori dell’offerta pabulare, dall’altro sono un potente strumento di gestione e di mantenimento delle potenzialità produttive e dell’equilibrio vegetazionale.

Le principali famiglie presenti nei pascoli del Centro Italia sono le Graminacee e le Leguminose.

Le graminacee non danno problemi di meteorismo, sono ricche di zuccheri ma sono utili soprattutto per la produzione di fitomassa; se poi l’utilizzazione è tardiva (dopo la spigatura) si ha la rapida perdita di appetibilità e, in genere, anche un notevole decremento del valore alimentare.

Le leguminose hanno una migliore qualità del foraggio ma hanno problemi nel pascolamento. Direttamente sono pericolose per fenomeni di meteorismo quando l’utilizzo è troppo precoce.

Alle Leguminose gli animali tendono ad asportare parti della corona ricche di sostanze di riserva che si ricostituiscono lentamente e concedono il nuovo utilizzo solo ad inizio fioritura, essendo poi piante più ricche di acqua, sono anche più fragili nei confronti del calpestamento. Nei pascoli dell’Italia centrale si realizza una specifica caratteristica qualitativa alimentare sia grazie ad una consociazione tra le famiglie delle leguminose che compensano la bassa qualità delle graminacee sia ad altre erbacee endemiche.

L’orientamento geografico ed il clima, oltre alla composizione chimica del terreno ed alla natura geologica, sono i due gli elementi che maggiormente influiscono sulla vegetazione favorendone le aggregazioni ben definite e gli insediamenti di specie endemiche, ossia specie che vivono spontaneamente in un solo ambito geografico e che a volte sono anche oggetto di iniziative di protezione e tutela in specifiche arre protette.

Pur con le ovvie differenze, dovute alle peculiarità del gruppo montuoso delle diverse aree montane dell’Appennino, e a partire dal fondovalle fino a quando ci si sposta verso le quote più alte, si osserva un progressivo cambiamento nella composizione delle risorse pascolive costituite da prati pascoli – da monofiti a polifiti naturali – e la diversa percentuale della composizione vegetale è influenzata anche dall’altitudine, ma anche dall’orientamento geografico, dalla temperatura e dalla giacitura dei terreni – con specifico range bioclimatico – con conseguenti effetti sulla biodiversità e sulla composizione chimico-fisica e nutrizionale dell’alimento rispetto agli stessi alimenti delle zone limitrofe al Centro Italia.

Grazie alle condizione pedoclimatiche, la maggior parte dei pascoli utilizzati dall’allevamento ovino nell’Appennino del Centro Italia sono classificati di “media“ e “buona” qualità, costituiti principalmente da graminacee pabulari e leguminose e con valore pastorale stimato (VPS), per i pascoli di media qualità nell’intervallo 15 < VPS < = 25; mentre per quelli di buona qualità VPS > 25.

La composizione di un Pascolo di “Media” e “Buona” qualità nell’Appennino del Centro Italia è caratterizzato da graminacee quali: Bromus erectus, Brachypodium rupestre, Cynosurus cristatus, Anthoxanthum odoratum, Dactylis glomerata e leguminose Brachypodium sylvaticum, Trifolium pratense, Ononisspinosa, Lotuscorniculatus, ma anche da altre famiglie  rappresentate da: Achillea millefolium, Thymus pulegioides, Polysticum setiferum, Daphne laureola, Nardus striata e da vegetali endemici dell’Appennino del Centro Italia come: Arenaria bertolonii, Linaria purpurea, Viola magellensis, Campanula apennia, Ranunculus magellensis, da altre erbacee protette come ad esempio: Frangula rupestris; Primula auricula; Lomelosia graminifolia; Polygonatum verticillatum; Trisetum villosum; Carex brachystachys; Carex frigida; Festuca dimorpha; Asarum europaeum; Iris graminea; Centaurea montana; Ophioglossum vulgatum; Stachys alpina; Viburnum opulus; Arisarum proboscideum; Ononis masquillierii; Laburnum alpinum; Isopyrum thalictroides che sono presenti nel pascolo o in sfalci di fieno, ma che non contrastano con la conservazione della flora.

Passando dalla tipologia fisionomica a pascolo a quella a bosco, corrisponda una diminuzione del contributo specifico delle leguminose erbacee e di conseguenza del valore pastorale. Le leguminose infatti riducono la loro presenza sotto la copertura di specie legnose a causa della notevole sensibilità nei confronti dell’ombreggiamento

Nelle formazioni a bosco, il Valore Pastorale diminuisce nettamente in quanto le specie più gradite agli animali tendono a scomparire, ad eccezione di qualche sporadica graminacea che permane sotto copertura.

La stessa qualità del pascolo è dovuta più in generale alla pianificazione dei beni silvopastorali, realizzata da enti locali dell’areale, parchi, corpo forestale, ecc. che rivolgono la loro competenza anche alle problematiche relative alla gestione dei pascoli naturali, essendo questi, per ampie superfici, di proprietà di comunanze agrarie o demaniale. Questi enti, infatti, forniscono indicazioni gestionali dei pascoli stessi, anche tramite l’emanazione di veri e propri regolamenti di pascolamento, ai quali gli allevatori devono soggiacere nella loro attività. E ciò anche in base alle nuove funzioni che vengono attribuite alle risorse pascolive, che oltre a quella tradizionale delle produzione foraggera comprendono oggi finalità di mantenimento della biodiversità e di tipo paesaggistico.

Inoltre, la presenza zootecnica agropastorale è stata sempre fortemente correlata anche all’azione di conservazione del paesaggio e della vocazione turistica e ricreativa.

Un’attività zootecnica vitale, di per sé, ha indubbi effetti positivi, anche estetici, sul paesaggio, arricchendo, così, l’offerta turistico-ricreativa. Ciò è vero soprattutto nelle aree montane e collinari, dove l’immagine degli agnelli e delle pecore al pascolo su prati fioriti o sfalciati, nonché degli abbeveratoi e delle andane di fieno, rappresenta elementi fondamentali e talvolta unici, di richiamo per coloro che cercano nuovamente il “contatto” con la natura.

Mentre per gli ovini allevati nelle aree di fondovalle si è assistito ad un’intensificazione delle produzioni, dall’altro, negli ambienti marginali e meno fertili, si sono mantenuti i sistemi zootecnici tradizionali, basati su un ridotto carico di animali, un modesto ricorso ai mezzi tecnici industriali e una prevalente utilizzazione delle risorse pascolive naturali.

E’ proprio in questi ambienti, localizzati frequentemente in zone montane o in altre aree con maggiore valenza naturalistica, che l’animale, sotto lo stretto controllo dell’allevatore, ha svolto e continua a svolgere al meglio le sue funzioni “secondarie”, trasformandosi così, da mero strumento di produzione, in insostituibile strumento ecologico, di gestione del territorio e di conservazione genetica